Museo Civico di Palazzo dei Consoli – Gubbio
INCONTRI AL MUSEO
22 Novembre 2012
ore 17.00
presso la Sala degli Stemmi (già Sala degli Affreschi) della Residenza Municipale
Museo Civico di Palazzo dei Consoli – Gubbio
Presentazione del restauro del dipinto “Il giudizio di Paride”
Restauratrice Anna Morena – Storico dell’arte Silvia Alunno
Silvia Alunno, Maria Vispi, Anna Morena
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vedi e salva: depliant GIUDIZIO DI PARIDE
Dopo il restauro della tela dipinta “Diana al Bagno”, il cammino di proficua collaborazione tra Comune di Gubbio e il Lions Club Gubbio Piazza Grande prosegue con il recupero del dipinto seicentesco raffigurante la famosissima scena mitologica denominata “Giudizio di Paride”.
Azioni conservative e di tutela come queste promosse dal prestigioso club su opere di forte interesse culturale, forniscono all’intera comunità eugubina la possibilità di conoscere ed approfondire lo straordinario patrimonio storico ed artistico di cui dobbiamo orgogliosamente proclamarci custodi.
Da anni il Lions Club Gubbio Piazza Grande si mostra sensibile ad operazioni di “investimento in cultura”: tale sensibilità acquisisce maggior rilievo nel periodo presente, così avaro di risorse economiche e di certezze rispetto al futuro da far temere pericolosi passi indietro nel campo della consapevolezza del ruolo della cultura e dell’impegno nei suoi confronti.
Il percorso collaborativo con il Lions, che ci auguriamo prosegua negli anni a venire, contribuisce a che la Città possa garantire anche in futuro un’offerta culturale di alto profilo. Quanto basta per essere tutti grati al club e per salutare con entusiamo questo ulteriore straordinario recupero.
Marco Bellucci
Assessore alla Cultura del Comune di Gubbio
Il Lions Club Gubbio Piazza Grande continua nel suo progetto culturale rivolto al patrimonio della nostra città, che prevede, in questi anni, il restauro di alcune opere della Pinacoteca Comunale.
Dopo il restauro dell’opera pittorica avente per soggetto Diana e le Ninfe sorprese da Atteone, è ora la volta del dipinto raffigurante il Giudizio di Paride.
Un abile lavoro di restauro valorizza l’opera e ne evidenzia alcuni aspetti finora coperti da ridipinture e strati di sporco e gomma lacca.
Ci siamo trovati di fronte ad un dipinto di notevole qualità: ciò non può che farci piacere e ci stimola a proseguire anche per il futuro in questa direzione.
Importante, a nostro parere, è stata anche la scelta delle eccellenti professionalità locali sia per il lavoro di restauro che per la ricerca storico – artistica. Ci siamo infatti avvalse, come per “Diana e le Ninfe sorprese da Atteone”, delle nostre concittadine Anna Morena, che ha eseguito il restauro, e Silvia Alunno, che ha effettuato le ricerche e lo studio per la parte artistica e, inoltre, di Giampaolo Pauselli che ha documentato le varie fasi del lavoro.
Maria Vispi
Presidente Lions Club Gubbio Piazza Grande
Stato di Conservazione
L’opera in esame si trovava in precario stato conservativo per quanto riguarda l’aspetto estetico e presentava notevoli problemi di staticità.
Una delle principali cause di degrado è da imputare alla vecchia foderatura, la quale non svolgeva più la sua funzione di sostegno alla tela originale, ma creava degli allentamenti al supporto, provocando di conseguenza il sollevamento in molti punti della preparazione e della pellicola pittorica, condizione questa proibitiva al fine di garantire una buona conservazione.
Erano presenti lungo i bordi perimetrali delle stuccature debordanti e numerose micro-lacune, anche queste ultime dovute probabilmente ad un allentamento della tela stessa. Su tutta la superficie si evidenziava una lieve craquelure, in particolar modo nelle zone più scure caratterizzate da pigmenti di granulometria più fine. Dal punto di vista estetico, la pellicola pittorica era fortemente alterata per la presenza di vernici e oli sovrammessi, che ne impedivano una corretta lettura cromatica, nascondendo molte sfumature del paesaggio, i contrasti tonali dei corpi, oltre a celare totalmente preziosi particolari come l’armatura, il pavone e il personaggio di Paride.
Scheda Tecnica
La tela di supporto in canapa è costituita da un’unica porzione, con un’armatura tessuta ad un filo per la trama e per l’ordito, avente le dimensioni 75x97cm, inoltre era presente una nuova tela da rifodero ancorata con chiodi posti perimetralmente ad un telaio di sostegno, non originale e costruito in legno di abete con tre ritti e due traverse, avente un sistema di espansione angolare chiamato a “zeppe”.
La preparazione costituita da gesso e colla, si presentava di medio spessore e di colore rosso-bruno; l’opera è dipinta con colori ad olio utilizzando pigmenti principalmente terrosi con una pennellata che risultava a tratti veloci ed estremamente fluida.
Intervento di Restauro
La prima operazione eseguita sull’opera è stata la pulitura della pellicola pittorica, questo per evitare che gli strati di polvere, vernici ed oli, potessero penetrare di più nel pigmento durante le successive fasi di restauro.
La superficie dipinta è stata sottoposta a saggi di pulitura, che hanno permesso di individuare i solventi volatili idonei, neutralizzati poi con essenza di trementina; si è quindi proceduto alla pulitura totale, che ha reso così visibile la cromia originale fortemente appiattita dalle alterazioni delle sostanze sovrammesse.
Dopo aver costatato che gli strati preparatori non erano sensibili all’umidità, si è passati alla velinatura della pellicola pittorica con carta giapponese e colletta, a protezione del colore per le successive fasi di foderatura.
Il dipinto è stato rimosso dal telaio ligneo e si è proceduto all’asportazione della vecchia tela da rifodero, provvedendo meccanicamente alla pulitura del retro della tela con l’ausilio del bisturi, per togliere tutti i residui di colla e facilitare così l’adesione dell’opera durante la foderatura.
A parte si è preparato il telaio interinale metallico su cui è stata tensionata una nuova tela di lino naturale a trama fitta e compatta, si è quindi passati alla foderatura vera e propria, stendendo con un pressoio la colla in pasta sul retro della tela originale e sulla nuova; per pasta s’intende un composto costituito da farina, acqua, colletta e trementina veneta, dosato secondo la ricetta tradizionale.
Dopo la stesura della pasta e l’unione delle due tele, si è effettuata la stiratura con calore controllato ed uniforme sino all’essiccamento del collante.
La fase successiva è stata la svelinatura con acqua tiepida, procedendo poi al tensionamento dell’opera sul vecchio telaio di abete ad espansione, il quale è stato sottoposto a sua volta ad un trattamento antitarlo con Permetar e sono state inserite delle nuove “zeppe” al fine di garantire un adeguato tensionamento; l’ancoraggio della tela è avvenuto con sellerine cromate poste perimetralmente.
Si è quindi proceduto con la stuccatura delle lacune con colla di coniglio e gesso di Bologna portate poi a livello tramite abrasione con bisturi.
La conseguente reintegrazione pittorica, condotta con colori ad acquarello Winsor & Newton e successivamente con colori a vernice della Maimeri, è stata eseguita con la tecnica della chiusura totale, date le piccole dimensioni delle lacune.
L’intervento si è concluso con una verniciatura finale a pennello con vernice Mat-Retoucher in proporzioni 1 a 2, ed una successiva nebulizzazione con resine acriliche.
La cornice in foglia d’argento meccata è stata sottoposta ad un trattamento di disinfestazione tramite Permetar, dopo un’accurata pulitura per rimuovere gli strati di polvere depositata, è stata reintegrata con colori ad acquarello Winsor & Newton, concludendo l’intervento sulla cornice con una lucidatura a cera.
Periodo dell’intervento: luglio – settembre 2012
La Restauratrice
Anna Morena
Giudizio di Paride
La tela con il Giudizio di Paride del Museo Comunale di Gubbio raffigura il celebre episodio mitologico che vede il principe troiano Paride divenire arbitro della contesa tra Era, Afrodite e Atena, su chi fra loro fosse la più bella fra le divinità olimpiche1. Nel dipinto in esame, al centro della scena si erge il gruppo delle tre dee, ciascuna affiancata dai relativi attributi iconografici, ovvero il pavone per Era, Eros per Afrodite e l’armatura per Atena. La storia è ambientata sotto un cielo tempestoso, in uno scenario agreste che richiama il monte Ida: rocce, vegetazione e un corso d’acqua fanno da cornice ai personaggi, mentre sullo sfondo alcuni edifici punteggiano le alture lontane. Il giovane principe Paride, in vesti di pastore, giace semisdraiato su di una roccia alla sinistra della scena: in una mano tiene il pomo della discordia, mentre con l’altra indica la dea vincitrice della disputa, ovvero Afrodite, che allunga un braccio verso l’improvvisato giudice per ricevere il suo premio.
La prima menzione ad oggi nota di questo dipinto – per il quale è ipotizzabile una provenienza dal mercato antiquario – si deve ad Oderigi Lucarelli, che cita l’opera nelle collezioni del Comune di Gubbio con una insolita attribuzione a Gian Girolamo Banesi2, un pittore bolognese attivo fra XVII e XVIII secolo.
Ad eccezione del cenno fattone da Lucarelli, il dipinto è passato finora inosservato da parte della critica, anche se non era ignoto a Federico Zeri, il quale ha dedicato all’opera una cartella nel suo archivio fotografico personale3. Zeri stesso, sul retro dell’immagine in suo possesso, annota la dicitura “copia di quadro perduto del Giorgione”.
Dell’esistenza di un dipinto di Giorgio da Castelfranco con il Giudizio di Paride, datato agli anni fra 1510 e 1512 ed oggi disperso, testimoniano – ab antiquo – sia Carlo Ridolfi, pittore veneto che sul modello vasariano si dedicò alla stesura delle biografie degli artisti della Serenissima, sia il collezionista Andrea Vendramin, discendente di una delle più note famiglie veneziane: egli stesso redige un manoscritto dove descrive la ricca raccolta d’arte sistemata nel suo palazzo, ed in questa sede cita anche una “…Favola di Parride di Zorzon…”, della quale lascia anche un sommario disegno4.
Questo perduto prototipo con il Giudizio di Paride del quale parlano le fonti, forse giorgionesco ma da taluni ascritto alla mano di Tiziano5, è stato variamente identificato, senza tuttavia esibire prove sufficientemente valide, sia con un dipinto già in collezione privata a Chiavari6, sia con una tela conservata in una raccolta privata britannica e proveniente dalla dimora degli Eearls of Malmesbury ad Heron Court, in Inghilterra7. Un altro analogo dipinto era conservato nella Gemäldegalerie di Dresda: distrutto nel corso del secondo conflitto mondiale, è oggi noto solo attraverso una rara riproduzione fotografica, nella quale è indicata la provenienza del dipinto da un originale di Giorgione8.
A questo gruppo omogeneo di tele, è possibile affiancarne un altro, di medesimo soggetto, che pur presentando qualche sensibile differenza, resta affine per iconografia al nucleo ora esaminato: qui infatti, lo scenario bucolico sembra prevalere sulle figure dei protagonisti, dipinte in scala minore. Oltre al Giudizio di Paride eugubino, ne fa parte un dipinto conservato alla National Gallery of Denmark di Cope-naghen9, ma anche due tele segnalate sul mercato antiquario da Federico Zeri, che nella sua fototeca conservava due riproduzioni fotografiche di tali opere10; sul retro di entrambe le immagini, note autografe del celebre studioso ne sostengono la derivazione da un originale di Giorgione o Tiziano. Un’analoga annotazione, riconosciuta come autografa di Umberto Gnoli e fatta risalire al 1928 circa, figura sul retro di un’immagine della tela di Gubbio, conservata negli archivi della Frick Collection di New York11.
Alla luce di questa breve disamina, appare dunque chiaro che entrambi i nuclei di dipinti qui descritti – stando alla tradizione – sembrano procedere da un originale modello (o forse più di uno) databile entro i primi due decenni del Cinquecento ed oggi non più rintracciabile, ma segnalato già da fonti antiche come autografo di Giorgione o, in alternativa, di Tiziano; sebbene manchino prove sicure a conferma delle attribuzioni tradizionali, questo prototipo – al di là della mano cui vada ascritto – dovette co-munque conoscere una larga fortuna, almeno a giudicare dal numero delle copie esistenti. Proprio questo fatto costituisce tuttavia un problema oggettivo nel tentare di risolvere la questione: le sole copie – piuttosto tarde, e spesso note soltanto attraverso vecchie ripro-duzioni fotografiche – non permettono infatti di istituire rigorosi e significativi riscontri con le opere superstiti di Giorgione e Tiziano.
Tracciare dunque un più preciso percorso culturale per il Giudizio di Paride della Pinacoteca di Gubbio – tra fonti antiche, ambigue attri-buzioni e repliche seicentesche – appare quindi piuttosto problematico, almeno allo stato attuale della ricerca: tuttavia l’opera, di notevole qualità, sembra potersi assegnare alla mano di un ignoto artista del XVII secolo, forse proveniente dall’Italia settentrionale.
Silvia Alunno
1. La vicenda del pomo della discordia e del giudizio di Paride, all’origine della guerra di Troia, è nota principalmente attraverso le Heroides di Ovidio, ma soprattutto dai Dialoghi degli Dei di Luciano di Samosata (cfr. dialogo 20) e le Fabulae di Igino (cfr. la fabula 92).
2. Cfr. O. LUCARELLI, Memorie e guida storica di Gubbio, Città di Castello 1888, p. 522; l’attribuzione al cignanesco Banesi, pittore bolognese di seconda linea di fatto ignoto alla storiografia artistica, risulta quanto mai singolare e per ora difficilmente decifrabile.
3. Cfr. Fototeca della Fondazione Federico Zeri, Università di Bologna, scheda n. 39004.
4. Cfr. C. RIDOLFI, Le Maraviglie dell’Arte overo le Vite de gl’illustri pittori veneti, e dello Stato, in Venetia presso Gio. Battista Sgava, all’insegna della Toscana, MDCXLVIII, pp. 83-84. Per il manoscritto del Vendramin, intitolato De picturis in museis Dni Andree Vendrameno positis Anno Domini MDCXXVII e conservato nella Collezione Sloaniana della British Library di Londra (mss 4004), cfr. T. BORENIUS, The picture gallery of Andrea Vendramin, London 1923. L’attendibilità del Ridolfi e del Vendramin, che scrivono a più di un secolo dalla morte di Giorgione, è ancora oggetto di discussione da parte della critica.
5. Cfr. A. MORASSI, Giorgione, Milano 1942, p. 188, dove si notano analogie con dipinti del Vecellio databili agli anni 1509-1515, quali il Concerto campestre del Louvre o l’Amor Sacro e Amor Profano della Galleria Borghese; A. BALLARIN, Giorgione e la compagni degli amici: il “Doppio ritratto” Ludovisi, in Storia dell’arte italiana, Parte II, vol. I. Dal Medioevo al Quattrocento, Torino 1983, p. 536 n. 105: qui si sposta tuttavia la cronologia del dipinto in questione al quinquennio 1515-1520, ovvero negli anni in cui il cadorino realizzava l’Assunta di Santa Maria Gloriosa dei Frari.
6. Questo quadro, che ad oggi non è stato possibile rintracciare, va forse identificato con quello visto dal Ridolfi, cfr. G. DE HARTMAN, Giudizio di Paride, in “Emporium”, vol. XC, fasc. 540, 1939, p. 312.
7. Per questo dipinto, è stata di recente avanzata una fantasiosa attribuzione a Raffaello, cfr. G. CAMERON, The Secrets of Leonardo da Vinci, Templestowe 2011.
8. Già Dresda, Gemäldegalerie, cat. 187, 1908.
9. Misure cm 61,5X92; inv. n. 3217. Secondo le informazioni fornitemi dal dott. Jacob Jensen, questo dipinto entrò nelle gallerie danesi nel 1913, alla morte del collezionista scandinavo Sophus Larpent: secondo la testimonianza dello stesso Larpent, il dipinto era stato acquistato dagli eredi del pittore e collezionista danese Christian Albrecht Jensen, il quale a sua volta aveva acquisito il dipinto in Germania. Larpent, non sappiamo su quale base, era convinto che il quadro fosse un autografo di Giorgione.
10. Cfr. Fototeca della Fondazione Federico Zeri, Università di Bologna, busta 0425.
11. New York, Frick Art Reference Library, digital image n. 2706.tif, photograph 3/6/1999.
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